Alba Viola

albero di nocciolo
"Il nocciolo ispiratore" by Melusinda


Primavera del 2009

Stavo facendo piccoli lavori in giardino, avevo raccolto una viola - profumatissima!- e, per non gettarla via, me l’ero infilata fra i capelli. Le mie cesoie seguitavano a potare i rami del nocciolo, mentre un tiepido sole di primavera incipiente mi scaldava la schiena. Ma nuvoloni neri incombevano a ovest e pensai che la tregua non sarebbe durata. D’un tratto: un capogiro fortissimo. Mi aggrappai ai rami dell’alberello mentre tutto diventava nero.
Poi, un barlume di coscienza, come nel dormiveglia… ma cosa mi combini, Strega, ti ho fatto troppo male? (Strega è lei, il nocciolo). Molto lentamente iniziarono a tornarmi i sensi. Prima il tatto, e avvertii rami e foglie, una leggera brezza sul viso… ma la Strega ha i rami molto più sottili e deve ancora mettere le foglie… Poi l’udito, e sentii cantare uccelli, stormir di fronde, voci femminili… voci femminili? Mentre il mio naso analizzava un troppo intenso profumo di bosco, mi decisi ad aprire gli occhi. E per poco non mi viene un colpo. Stavo distesa sopra un enorme ramo d’albero, un po’ scanalato in mezzo e quindi anche molto comodo, con la testa appoggiata al tronco ed altri rami più sottili come ad abbracciarmi. Ma guarda tu, chi mi ha fatto questo bello scherzo almeno si è preoccupato che non cadessi! Scherzo? E chi mai e come, soprattutto, avrebbe potuto farmi un tale scherzo? Cominciai a tentare di muovermi e anche di capire a che distanza dal suolo mi trovassi.
Ma nell’intrico vegetale non capivo proprio nulla, così, goffamente, mi calai di ramo in ramo, non senza una certa strizza.
Arrivata faticosamente e dopo un tempo che mi parve eterno, a una grossa biforcazione, dove veramente non sapevo più dove appoggiare il piede, sentii le voci femminili avvicinarsi e guardai giù per fare il punto della situazione.
Ma valutare le distanze non è mai stato il mio forte, l’unica cosa che accertai fu che ero “ospite” di una quercia, o un altro parente di quella famiglia. Mi feci forza e provai a girare intorno al tronco per trovare altri rami più bassi.
“Ehi, dai, sappiamo che sei lassù, forza, scendi, non aver paura, è tanto che ti aspettiamo!”. Ah, beh, meno male che qualcuno sa che sono qui (dove magari vorrei saperlo anch’io) e mi stava pure aspettando! Mentre continuavo a tentare di non schiantarmi a terra, vidi braccia levarsi verso di me e con sollievo capii di non essere più tanto in alto.
“Su, per di qua, metti il piede qui che ti aiuto io”. Un paio di mani robuste mi afferrarono una caviglia e subito dopo aver temuto il peggio, mi ritrovai fra le braccia di un enorme, profumato, morbido e sorridente donnone.
Io non sono né bassa né magra ma mi sentii un cucciolo.
E venimmo immediatamente circondate da un gruppo di donne festosamente schiamazzanti.
Dopo momenti di vani tentativi di comprensione e di abbozzi di risposte, alzai le mani in segno di resa e finalmente quella che mi aveva “accolto” intimò il silenzio. “Basta, non vedete che la state frastornando, poverina? Andiamo a sederci e parliamo con calma!”. Ci scostammo di pochi passi dall’albero e ci sedemmo in circolo sull’erba fresca.
“Allora, sorelle, noi abbiamo dato per scontato che lei sapesse e fosse venuta intenzionalmente, ma è evidente che non è così…
Intanto presentiamoci… come desideri essere chiamata?”.
Si era rivolta a me, ma io stavo ancora pensando a ciò che aveva appena detto… sorelle… che sapesse… venuta intenzionalmente… e non risposi subito.
“Viola”,
“Alba”,
“Alba Viola”,
molte voci sostituirono la mia e le braccia, le mani, indicavano i miei vestiti, i capelli, gli occhi.
Ed io seguendo i loro gesti mi rendevo conto di varie cose: avevo ancora la viola fra i capelli ed indossavo una tuta viola. Inoltre, naturalmente, la cosa principale: io sono albina, pertanto ho capelli bianchi e occhi viola e questa è sicuramente la mia caratteristica fisica più evidente.
Sempre la prima donna prevenne ogni risposta: “vedi, non tutte noi usiamo i nostri veri nomi e molti sono stati suggeriti dalle altre, perciò ti chiameremo come vuoi e puoi dircelo subito o pensarci su, come preferisci. Comunque io sono Artemisia, l’abbraccio di benvenuto te l’ho già dato, ma te ne do un altro volentieri”. Fra le risate entrò nel cerchio e mi si avvicinò, mentre io mi alzavo in piedi per essere avvolta da quella montagna di carne cedevole ma soda, dall’intenso profumo di erbe. Ricambiai l’abbraccio con gioia, sentendomi protetta, accolta, perfino amata!
“Artemisia, bene, tu sei una vera forza della natura!”.
Lei sorrise ammiccando con i profondi occhi scuri, come ad intendere: “tu non immagini quanto!”.
Ad una ad una anche le altre si alzarono per presentarsi.
Camilla, alta circa come me, capelli biondo-ramato, occhi blu, mi abbracciò calorosamente, con due baci sulle guance.
Margherita, piuttosto bassa, magra, capelli neri, mi arrivò da dietro e mi prese alla vita, scusandosi goffamente ma con entusiasmo: disse di essere totalmente cieca, tempestandomi il viso di baci. Replicai: “Beh, ovviamente mi dispiace per te, ma almeno c’è qualcuno che ci vede meno di me!”.
Melissa, piccola e tonda, capelli biondo-oro, occhi azzurri, mi avvolse in un morbido abbraccio dal fresco profumo di limone, scoccandomi un sonoro e un po’ umido bacione.
Laura, asciutta, quasi brusca, capelli castani e occhi pure, mi prese entrambe le mani baciandomi in fronte.
Erica, fiammanti capelli rossi, occhi verdi, mi travolse in un abbraccio danzante, cantandomi benvenuta, benvenuta, benvenuta...
Stavo per chiedere finalmente spiegazioni ma vidi arrancare verso di me un’altra donna, vistosamente zoppa, che disse di chiamarsi Silvia. Capelli castano chiaro, occhi grigi, mi tese la mano che non reggeva il bastone, salutandomi formalmente.
“Oh, finalmente questa è l’ultima, dài, dillo che lo stai pensando! Il mio nome è Malva e sono ultima solo per caso, sia chiaro!”. Capelli biondo pallido, occhi chiari, alta e robusta, mi tenne a lungo in una dolce stretta.
Finché ci giunse la voce di Artemisia: ”va bene, donne, si sta facendo tardi, dobbiamo andare e poi per oggi le emozioni possono bastare”.
In effetti il disco arancione del sole, poco sopra l’orizzonte, allungava le ombre ed infiammava i colori. I saluti divennero di commiato ed io mi sentii smarrita: “no, un momento, aspettate, penso di meritare qualche spiegazione, no? E poi voglio dirvi…” il mio nome, conclusi fra me.
Si erano già dileguate come fate dei boschi. Ma Artemisia mi si avvicinò sorridendo e mi prese la mano: “non preoccuparti, avrai tutte le spiegazioni che sarò in grado di darti, ma non qui, ti va di essere mia ospite?”. “Beh, non penserai che gradirei passare la notte su quel ramo, vero? – e indicai la quercia – Anche se devo dire che era comodo e quella è una pianta assolutamente formidabile, non ne ho mai visto una tanto immensa”. Artemisia rise: “a proposito, Lei, viene detta ‘Quercia delle Nove Sorelle…”.
Feci un piccolo conteggio mentale, fra sghignazzi e ammiccamenti affermativi della donna. Ma, pur stupefatta e incuriosita oltre ogni dire, decisi di non insistere e ci avviammo lungo il prato in declivio, tappezzato di fiori di tutti i colori. Mi accorsi che ci trovavamo su una collinetta, non molto distante dal paese, che ora si iniziava a scorgere, di case basse, per lo più di sasso. E verso una di queste si diresse Artemisia.
Mi introdusse in una vasta cucina, con pavimento in cotto, travi di legno, un massiccio tavolo e un grande camino già preparato per il fuoco, che lei con rapidi gesti fece divampare. La sera si era fatta fresca. Aleggiava nell’aria lo stesso sentore di erbe amare che emanava dalla sua persona. C’era anche una stufa a legna, non molto diversa da quella della casa della mia infanzia, sulla quale troneggiava una panciuta pentola di coccio. “Non ho granché da offrirti, ti va una zuppa e del formaggio?”, “ma certo, va benissimo. Senti, posso chiederti di che cos’è questo odore?”. “Uhm, è molto sgradevole?”, “no, assolutamente, al contrario! È intenso ma piacevolissimo e anche molte delle altre donne avevano profumo di erbe”. Si rasserenò, mettendo in tavola due grosse ciotole di zuppa fumante, una pagnotta, uno spesso tagliere con sopra il formaggio e una brocca di vino con due bicchieri. Mi sorrise e ci mettemmo a mangiare. In quel momento apparve un grosso gatto rosso dagli enormi occhi verde smeraldo, che miagolò piano ed andò a strusciarsi contro le gambe di Artemisia: ”ah, eccoti qua, Zenzero, quando compari tu? Quando si mangia, naturalmente! E gli altri due vagabondi dove sono, eh? Così almeno do la pappa a tutti e non ci sono discussioni”. Come evocati dalle sue parole, arrivarono di corsa altri due mici, uno tigrato a larghe strisce scure su fondo chiaro e uno tutto nero, lucido, occhi d’ambra. Rivolta a me, lei fece le presentazioni: “quello tigrato è Pepe e occhio che lo è anche di carattere, l’altra è Liquirizia, ma se ti va di accarezzare qualcosa di peloso ti consiglio questo patatone rosso, adora le coccole ed è dolcissimo”.
Infatti allungai la mano e il micione subito ci si infilò sotto alzando la coda e partendo con fusa sonore.
“Allora, l’odore è di artemisia, ci faccio un liquore, che dopo ti farò assaggiare, a meno che tu non faccia parte di quella tristissima razza di persone che non bevono alcolici. Ti piace la zuppa?”. Risposi che bevevo, anche troppo!, e la zuppa era veramente squisita, con cereali, legumi e verdure che non riuscivo a identificare con certezza, ma aveva un sapore ‘antico’, di roba sana, genuina, senza schifezze chimiche.
“Dunque, devi sapere che noi siamo una congrega di streghe molto antica. Alcune sono erboriste, o cuoche, per cui l’odore di spezie è naturale, o guaritrici, come Melissa, che alleva anche le api. Malva fa la levatrice, Silvia tesse magnifici tappeti, Margherita è una musicista molto richiesta, suona l’arpa e il violino. Erica e Laura sono ceramiste, quella pentola è opera loro, ma fanno cose anche molto più artistiche.” Si alzò per andare a prendere dei vasetti che mise in tavola, tutti decorati, di vari colori e fogge, molto belli, forse senza accorgersi che ero rimasta col cucchiaio a mezz’aria e per poco non mi strozzavo col boccone. Infatti proseguì tranquilla: “Il fatto è che, già molti mesi fa, ci siamo accorte che l’equilibrio fra i mondi è in serio pericolo ed essendo morta la nostra sorella più anziana, abbiamo iniziato una ricerca. Sai, se il cerchio non è completo, ha molta meno forza e questa è una questione di vita o di morte. Ma, scusa, mi stai ascoltando? Oh, lo so, magari abbiamo interferito pesantemente nella tua vita, magari hai marito e figli che si chiederanno dove sei finita, ma anche noi, sai…”.
“ Ehi, frena un attimo, non è tanto quello il problema, è che io non sono una strega, avete sbagliato persona!”.
Ora fu il suo turno di restare a bocca aperta… Mentre io prendevo in mano i vasetti ad uno ad uno ammirandone la qualità, si alzò in piedi ed iniziò a marciare avanti e indietro torcendosi le mani. Per parte mia avevo appena iniziato ad assaporare il più sublime formaggio di capra che avessi mai provato e lo stesso poteva dirsi del pane e del vino, per cui il cosmo intero poteva attendere, almeno un pochino.
“Non è possibile. Questo non è proprio possibile…”, si rimise a sedere, ricominciando a mangiare, ma con la mente altrove. Era talmente sconvolta che tentai di distrarla: “lo fanno qui in paese, questo stupendo caprino?”. “Cosa? Ah, il formaggio, lo faccio io, col latte delle mie capre e anche il pane e il resto… il vino no. Senti, ciò che hai detto non ha senso, non si può sbagliare persona in una ricerca come questa, forse l’unica spiegazione è che tu non sai di esserlo, ma di certo sei una strega. E anche dotata, perché di questo abbiamo disperatamente bisogno”.
Mi dispiaceva immensamente deluderla e sarei d’altronde stata ben felice che avesse ragione, ma… Lei proseguì: “Ascolta, domani all’alba è l’equinozio di primavera e c’è anche luna piena, una combinazione di grande potenza. Purtroppo abbiamo pochissimo tempo, non posso darti modo di ambientarti, renderti conto, chessò… superare lo choc. Ci troveremo alla Quercia e chiuderemo il cerchio, ci sarai anche tu, non dirmi di no!, si capirà subito se sei una di noi”.
Ero perplessa: perché questa donna, sicuramente di grande intelligenza e sensibilità, pretendeva che fossi per forza ciò che non ero? Sarà la disperazione, dato che io non ho la più pallida idea di questo pericolo mortale incombente, contrariamente a ciò che lei sembra credere.
Artemisia si era alzata e tornò dall’altra stanza portando una bottiglia di foggia elaborata, di vetro spesso, contenente un liquido di un intenso color giallo tendente ad verde. Ne versò due bicchierini e mentre li alzavamo mi guardò intensamente: “verrai?”. Esitai solo un istante –aroma pungente, effluvio inebriante di essenze, tonalità di verdi con sprazzi lilla- poi, cozzando il bicchiere col suo: “al successo del cerchio delle Nove Sorelle!”.
Bevemmo: Elfi e Silfidi, Gnomi ed altri esseri di cui non conosco il nome danzarono dietro ai miei occhi. Nel naso quel sentore penetrante di erbe, in bocca e nella gola il gusto indescrivibile di umor di bosco profondo. Alè, sono impazzita… nell’attimo stesso che pronunciavo quel brindisi ed assaporavo quel nettare, dubitai fortemente delle mie facoltà mentali: “senti, confessa, mi hai fatto un incantesimo, hai messo qualche droga nel cibo o è questo liquore…”. Mi inchiodò con i suoi profondi occhi scuri: “Viola, ascoltami bene: questa è una cosa che non devi dire nemmeno per scherzo! Nessuna di noi si sognerebbe mai di indurre con la magia qualcuno ad agire contro la propria volontà! La nostra è solo magia benefica, bianca o verde, raramente rossa, mai nera! Dimmi se mi credi!”.
La rassicurai che avevo solo scherzato e allora si rilassò, invitandomi a seguirla nella stanza attigua. Mi trovai in un ambiente molto più luminoso della cucina, anche se del sole restava ormai un riflesso soffuso. Le due pareti a ovest e sud erano infatti occupate da finestre e due porte-finestre; ai restanti muri erano appese erbe e fiori di ogni tipo e sul lungo tavolo al centro e sugli scaffali, libri, alambicchi, vasi, vasetti e una miriade di utensili e oggetti la cui natura mi era del tutto sconosciuta. “Accipicchia! Che spettacolo! Non so che darei per avere una stanza così per dipingere, fare ceramica, i miei pastrocchi, insomma!”. Lei rise ed aprì una delle porte-finestre. Dava su un orto botanico, o giardino dell’Eden, ai miei occhi, e si mise a descrivermi nome ed uso di ogni curatissima piantina e fiore, come se mi stesse presentando la sua famiglia. Io, pur interessata ed ammirata, forse tradii la stanchezza: “scusami, per te è stata una giornata pesante, dobbiamo alzarci prima dell’alba e io ti annoio con la botanica. Ma è la mia passione e quando comincio…”.
Mi guidò su per una breve scala di legno, mi mostrò un bagno sontuoso, con una vasca enorme, a semicerchio e, al mio stupore, raccontò: ”abbiamo acqua termale anche nelle case, in abbondanza. E viene depurata, rivitalizzata, rimessa in circolo, a seconda degli usi, mai sprecata. Anche l’energia deriva tutta dalla natura e non costa quasi nulla”.
Poi aprì la porta di una camera con due letti: “questa era di due delle mie figlie, scegli il letto che vuoi”.
“Due delle tue figlie? Perché, quanti figli hai?”, “oh, una caterva e anche nipoti! Ma sono tutti lontani, il più piccolo è su al pascolo con le capre”. “Anche le altre, immagino, avranno famiglia. Scusa se te lo chiedo, ma non hanno nulla da ridire, le famiglie, di questa vostra ‘attività’?”, “quale attività, la stregoneria? Certo che no, perché dovrebbero? Te l’ho detto che è una tradizione molto antica e anche molto rispettata. Tutti, prima o poi, hanno bisogno di noi!”. Pensai che lì evidentemente non era mai arrivata l’Inquisizione e forse neanche la medicina ufficiale. Comunque non mi reggevo proprio più in piedi e, anche se migliaia di altre domande mi ronzavano in testa e un lungo bagno caldo in acqua termale mi tentasse enormemente, diedi la buona notte ad Artemisia e mi infilai con gratitudine in uno di quei letti dalle lenzuola profumate, addormentandomi come un masso.

Qualcosa mi solleticava una guancia, pensai a un insetto ed alzai la mano per scacciarlo, ritrovandomici contro la testa di un gatto ronfante, mentre una lingua ruvida mi leccava le dita, la fronte, la punta del naso.
Melusina, che ti piglia stamattina? Ma no, la mia micia non è così affettuosa… Ridendo aprii gli occhi: “Zenzero! Certo che sei proprio espansivo tu eh? Neanche mi conosci e già ti permetti di venirmi a svegliare”. “In realtà sono stata io ad istigarlo a svegliarti, è pronta la colazione”. Artemisia se ne andò con un sorriso ed io guardai la finestra: era ancora notte. Di mala voglia mi tirai in piedi, mi vestii e scesi sbadigliando i pochi gradini verso la cucina. Il fuoco ardeva nel camino e la tavola era imbandita di ogni delizia: pane tostato, burro, marmellate in ciotoline di ceramica, miele, brocche con liquidi fumanti, altre con liquidi colorati, frutta…

“Mamma mia, chi deve mangiare, l’esercito?”. Una strana occhiata accolse la mia frase: “dobbiamo essere in forze, su, mangiamo che si fa tardi”. Non replicai, ormai avevo accettato che si compisse quella cosa di cui non sapevo nulla, forse esclusivamente per fiducia in quella donna straordinaria, o anche per curiosità e non volevo chiedermi cosa sarebbe successo in caso di fallimento né… cosa sarebbe successo in ogni caso! Facemmo onore all’ottimo cibo, anch’io che di solito al mattino non mangio quasi niente e, apprestandoci ad uscire, Artemisia mi aggiustò sulle spalle un caldo mantello di lana con cappuccio: “Fa fresco sulla collina, a quest’ora”.
Un altro ne indossò lei e ci avviammo. Una luna enorme illuminava quasi a giorno la via, Artemisia mi prese sottobraccio, pensai preoccupata per la mia scarsa vista. “Meno male che almeno tu non credi che gli albini ci vedano di notte!”. Lei rise. Il percorso mi parve più lungo dell’altra volta, forse parchè era in salita, ma ben presto avvistai l’imponente sagoma della Quercia stagliarsi contro la luce della luna. Uno spettacolo magnifico, meglio di qualsiasi dipinto romantico!

E avvertii anche movimento: alcune delle sorelle ci stavano venendo incontro: “Artemisia, eccovi finalmente!”. Seguì un conciliabolo, mentre Artemisia proseguiva verso l’albero torreggiante. Non sapendo che fare andai con lei. Camminando fece dei segni con le mani e poi le appoggiò al tronco e si mise a mormorare. Ero incerta, imbarazzata e non tentai di carpire ciò che diceva ma istintivamente, dopo un attimo la imitai, restando però in silenzio ed inviando una preghiera allo spirito della Quercia. Che mi prestasse un po’ della sua forza e della sua saggezza per affrontare la prova, pur essendo io certa di non essere in grado di superarla. Staccando le mani dall’albero vidi Artemisia che mi guardava sorridendo ed arrossii ma, al tempo stesso, notai altre donne, forse appena arrivate, che gesticolavano, danzavano, cantavano, sussurravano, abbracciavano il tronco: “ognuna di noi ha il suo saluto speciale per la Quercia delle Nove Sorelle ed è giusto così”. Mi prese alla vita e mi condusse in una piccola radura, al centro della quale stava un cerchio di pietre dove il fuoco scoppiettava allegramente.


dipinto di Paul Ranson: "streghe attorno al fuoco"
"Streghe attorno al fuoco" by Paul Ranson


Riconobbi la voce dolce di Melissa nella donna che prese la parola: “il cerchio delle Nove Sorelle è completo, questa notte di Luna Piena. All’alba, fra poco, sarà l’Equinozio di Primavera e noi ora chiudiamo il Cerchio Magico per invocare le forze della Natura e degli Spiriti Elementali, affinchè risanino la frattura che si è creata fra i mondi. Prendetevi per mano, Sorelle!”. Tutte le mani si strinsero e io per poco non gridai: una scarica elettrica mi percorse da capo a piedi, facendomi rizzare i capelli sulla nuca, ma subito mi resi conto che non era doloroso, potevo sopportarlo. Dopo poco mi parve quasi piacevole e cercai di rilassarmi. Allora cominciai a vedere come dei fulmini di vari colori saettare da una donna all’altra, pulsare, interrompersi, tendersi. Pensai alle onde radio, o agli equalizzatori degli impianti hi-fi. Chiusi gli occhi e avvertii chiaramente le singole presenze delle Sorelle:
Artemisia, al mio fianco, forte energia materna, con un nocciolo di potenziale pericolosità letale, di color blu scuro. Dopo di lei Silvia, un’energia un po’ distorta ma potente ed organizzata, dalla quale guardarsi, color turchese.
Camilla, energia calma e costante, decisamente benevola, di color verde erba.
Poi Melissa, color giallo oro, dolce, frizzante, gioiosa, senza ombra di malizia, ma pronta a colpire ogni eventuale nemico della comunità.
Ed Erica, fiamma viva, energia allo stato puro, calda e pulita, pericolosa ma senza averne coscienza, rosso vermiglione. Laura, qualcosa di pungente, impenetrabile, fortemente determinato, color porpora.
Poi Margherita, sicura e fiduciosa, diretta, vibrante ed allegra, di un luminoso magenta.
Alla mia destra Malva, presenza rassicurante, curativa, vitale, anche se con una vena di sana follia, color lilla.
E percepii anche la mia energia, per la prima volta nella vita, naturalmente viola, ancora incerta ma di indubbia forza.
E mentre i raggi di energia danzavano, si intrecciavano e fondevano, in mezzo ad essi cominciai a scorgere sagome di animali, alberi, fiumi, uomini, il tutto come in un’unica trama dal disegno complicato, che tentasse di creare un equilibrio, la migliore armonia possibile. Aprii gli occhi sentendo cadere alcune gocce di pioggia e pensai che fosse strano, vista la luna chiara, che però era scomparsa, cedendo il posto a nuvole bianche, illuminate da sotto dalla luce dell’alba, che si stava propagando ad est. La visione esteriore fu solo un lampo, perché subito tornò la presenza, intensissima, del Cerchio nella sua completezza.
Fu talmente potente l’emozione che caddi in ginocchio, insieme con tutte le Sorelle. In quell’istante il sole spuntò dall’orizzonte spennellando di viola la bassa nebbia sottile ed un arcobaleno stupefacente solcò il cielo in un arco perfetto e nitidissimo.
Mi ritrovai nel mio giardino, le mani avvinghiate ai rami del nocciolo, il viso bagnato di pioggia e davanti ai miei occhi un arcobaleno stupefacente solcava il cielo sopra i tetti delle case della città.
Era l’alba, un’alba viola.