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dott.ssa Paola Elia Cimatti: Alba Lapilla e le sue Perle Rare
ALBINISMO IN LETTERATURA
dott.ssa Paola Elia Cimatti
Alla consapevolezza che sta maturando intorno alle problematiche dell’albinismo, vorrei aggiungere il contributo che la letteratura e le scienze umane possono dare, in particolare riguardo all’elaborazione emotiva e immaginativa della propria condizione.
Può essere utile incontrare personaggi albini, o comunque segnati da una diversità, vedere come hanno reagito di fronte alle varie situazioni della vita,  come sono riusciti a elaborare le ferite che la loro condizione (inevitabilmente) comporta.
Non dimentichiamo che da tali fonti proviene la maggior parte del sapere di cui psicologi, insegnanti e operatori di scienze dell’educazione possono avvalersi: è a loro che in particolare mi rivolgo.
Propongo quindi a puro titolo di esempio alcuni libri in cui si parla di albinismo (o di altra condizione rara). Si tratta prevalentemente di classici della letteratura, reperibili nelle principali lingue europee in diverse edizioni. E’ anzi sorprendente che una condizione così rara e sconosciuta ai più abbia tanto sollecitato l’immaginazione degli scrittori.
 
- Melville H. - Moby Dick (il cap. 42 è una vera “enciclopedia dell’albinismo”, incentrata sul colore bianco);
- Brown D. - Il codice Da Vinci – The Da Vinci Code. (Si consiglia  il libro, non il film, dove la storia del personaggio albino non viene raccontata);
- Hegi U. – Come pietre nel fiume – Stones from the river.  (Storia  di una ragazza nana che riesce a costruirsi una vita a propria misura);
- Markandaya K. - Nettare in un setaccio – Nektar in a sieve  (romanzo realistico su un bambino albino in un villaggio dekll’India);
- Wells H.G. - L’uomo invisibile – The invisible man;
- Oppel K. – Il fantastico volo di Ali d’Argento – Silverwings  (fiaba)
- Genovesi F. –   Chi manda le onde     ed. Mondadori 2015
- Sulla leggenda di Azzurrina (bambina albina che la madre tentò di far apparire normale tingendole i capelli), per cui si consiglia una visita al Castello di Montebello.(Rimini) segnalo la fiaba di A.Nanetti e il testo di A.Lorenzi nel libro “Non restate in silenzio”.
- PERLE RARE. Antologia sull'esperienza della diversità
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dottoressa Rosa Pellegrino


L'ALBINISMO

Una condizione che continua a sorprenderci
dott.ssa Rosa Pellegrino

Il bianco non è più protagonista.
Si va, infatti, dal bianco, effetto dell’assenza di attività tirosinasica, a diverse sfumature di colore, effetto della riduzione della funzione di una tra diverse proteine implicate, condizionato da un ampio e complesso background etnico e familiare.
La classificazione cambia nel corso del tempo.
Da una confusa e lunga classificazione clinica, basata su fenotipi pigmentari spesso non facilmente separabili in tipi distinti, si passa, a partire dagli anni 80, con l’ausilio di nuove tecniche (in particolare, la PCR) e dello studio avanzato sui geni del colore del mantello murino, a una classificazione genetica che raggruppa fenotipi molto diversi tra loro in un unico tipo, evidenziando non solo l’eterogeneità genetica, con la conseguente designazione di tipi diversi, ma anche l’eterogeneità fenotipica nell’ambito di ogni tipo genetico, oltre che la sovrapposizione fenotipica dei diversi tipi. Siamo ora a 18 tipi di albinismo: 7 tipi di albinismo oculocutaneo asistemico, 10 tipi di albinismo oculocutaneo sistemico, 1 tipo di albinismo oculare.
Il range genetico allarga i suoi confini.
L’effetto negativo di alcuni polimorfismi in combinazione con diverse mutazioni eterozigoti, anche in geni non allelici, i casi di mutazioni digeniche e di “accumulo” di mutazioni e polimorfismi,  i casi geneticamente irrisolti e i geni della pigmentazione ancora da esplorare, come potenziali candidati albinismo-causativi, fanno supporre una maggiore complessità genica. In tutti gli studi finora condotti, in coorti appartenenti a popolazioni diverse (Cinesi Han, Danesi, Caucasici non Ispanici, Tedeschi, Giapponesi, Italiani, etc) emerge un risultato omogeneo: una percentuale simile di alleli non identificati, corrispondente a circa il 20% di casi geneticamente irrisolti. Una  “mutazione non caratterizzata”,  sia negli esoni che negli adiacenti confini esone-introne del gene in esame, potrebbe essere localizzata a monte del gene in un locus di una control-like region o in un secondo locus (scenario digenico), potrebbe trattarsi di una grossa delezione o inserzione non rilevate in una normale PCR genomica a causa dell’amplificazione dell’allele selvatico esistente, potrebbe trovarsi in una regione intronica non sequenziata, risultante in un cambiamento funzionale della corrispondente proteina, o in un nuovo gene tra gli oltre 300 geni candidati.
Il fenotipo pigmentario selvatico si colloca tra i fenotipi albinotici. Il tratto realmente diagnostico di albinismo diventa quello per molto tempo ignorato: il fenotipo oftalmico. Va verso il cambiamento quindi la definizione stessa di albinismo.
Dal fenotipo pigmentario bianco al fenotipo pigmentario “selvatico-simile” al fenotipo pigmentario selvatico. Man mano che emergono nuovi casi, il fenotipo pigmentario sembra stia lasciando definitivamente il posto al solo fenotipo visivo, inizialmente preso scarsamente in considerazione, se non addirittura ignorato, confondendo spesso l'effetto di uno stato oggettivo di ipovisione con un disturbo di attenzione nell'età evolutiva del soggetto albino.
Le ultime ricerche condotte su topi transgenici parlano di una relazione L-DOPA/visione, non melanina/visione. La L-DOPA sarebbe il solo metabolita richiesto per uno sviluppo normale della retina e della visione. Le alterazioni del sistema visivo associate all’albinismo sarebbero una conseguenza della mancanza di L-DOPA, non di melanina, durante lo sviluppo embrionale-fetale-postnatale dell’occhio e del sistema ottico. Il fenotipo pigmentario, quando presente, potrebbe essere considerato un tratto secondario, una conseguenza e non una causa dell’albinismo. Dovremmo quindi presto trovarci di fronte a casi di albinismo con evidenti segni visivi ma senza alterazioni nei modelli pigmentari, come suggerito già nel 2006 da van Genderan. L’albinismo verrebbe così definito fondamentalmente dal riscontro delle alterazioni visive e facoltativamente dei tratti addizionali, come l’ipopigmentazione.
“L’albinismo è una condizione congenita ereditaria rara senza cure: una persona albina rimane albina per tutta la vita; i sintomi clinici rimangono fondamentalmente inalterati”.
Questa prognosi, che ha fatto dell’albinismo il classico esempio oggetto di studio in quanto tale, è probabilmente ad una svolta. In cinque laboratori sono in corso progetti terapeutici su modelli animali albini, in particolare murini, i cui dati sono incoraggianti. Oggetto di studio sono: la L-DOPA, il nitisinone, il AAV-TYR e gli amminoglicosidi. Occorrono ulteriori studi e verifiche prima che questi progetti diventino trattamenti terapeutici applicabili all’uomo (qualche trial clinico sull’uomo è già iniziato) e occorre che siano affiancati da studi di ricerca di base che chiariscano i meccanismi molecolari, cellulari e funzionali alla base delle alterazioni patologiche associate all’albinismo.
Le strategie ottimizzate e massive di screening genomico e mutazionale e i nuovi approcci bioinformatici applicati ai casi geneticamente irrisolti e ai nuovi casi, affiancati da preziose informazioni ricavate dallo studio di popolazioni e sottopopolazioni albine, renderanno la ricerca più facile e meno dispendiosa sia in termini di tempo che di costo, svelando passo dopo passo la complessità di una condizione che appariva come un semplice esempio di condizione genetica autosomica recessiva, con un chiaro albero genealogico. Un ruolo importante avrà un’ informazione eticamente corretta sull’utilità del test genetico. La ricerca ha bisogno di “materiale molecolare”.